E' appena stato pubblicato nei tipi della Springer il volume 200 Years of Themoelectricity (1821-2021) che celebra, anche se con un po' di ritardo, il bicentenario della scoperta della termoelettricità. Il volume ripubblica una trentina di lavori che hanno fatto la storia della termoelettricità in questi due secoli, oltre a tre saggi sullo sviluppo storico e scientifico della disciplina.
Ma cos'è e a cosa serve la termoelettricità? Ne parliamo con uno dei curatori, Dario Narducci, docente presso il Dipartimento di Scienza dei Materiali dell'Università di Milano-Bicocca.
«I fenomeni termoelettrici sono stati il primo esempio studiato di accoppiamento tra flussi e affinità termodinamiche e, ancora oggi, sono uno strumento chiave per studiare la termodinamica di non equilibrio. Tuttavia, la termoelettricità ha anche notevoli applicazioni pratiche. La più nota è certamente quella metrologica – le termocoppie, per la misura della temperatura. Ma i dispositivi termoelettrici sono anche, sempre per usare un linguaggio termodinamico, macchine termiche e macchine frigorifere e trovano quindi applicazione nella conversione del calore in energia elettrica e per l'estrazione di calore.»
Però non sembra che questi dispositivi abbiamo trovato grandi applicazioni pratiche. «Non è completamente vero», obbietta Narducci. «Nelle sonde che viaggiano nello spazio profondo i generatori termoelettrici sono stati la tecnologia di alimentazione elettrica di riferimento. Non ci sarebbero state né le missioni Viking né quelle Pioneer senza il termoelettrico. Però è vero, le applicazioni commerciali nel recupero di calore sono minime.»
Un problema di competizione con altre tecnologie? «Esattamente. Un materiale termoelettrico per essere efficiente dovrebbe avere una elevata conducibilità elettrica e una bassa conducibilità termica – il tutto con una ridotta densità di portatori di carica. Insomma, un materiale impossibile.» E allora? «E allora la scienza dei materiali, di fronte ad una sfida simile, ha dato il meglio di sé, ingegnerizzando i difetti e, dalla fine degli anni Novanta, facendo grande uso delle nanotecnologie. Il risultato, ampiamente riportato nel libro, è stato quello di un progresso enorme in termini di efficienza, che ha portato i materiali termoelettrici oltre la soglia della competitività applicativa.»
Qualche esempio? «Beh, mentre il recupero di calore con i generatori termoelettrici non ha ancora trovato la sua killer application, nel raffreddamento localizzato i dispositivi termoelettrici (detti spesso raffreddatori Peltier) sono già entrati nelle nostre case, anche se magari non lo sappiamo, lavorando assieme ai compressori convenzionali nei frigoriferi ad alta efficienza energetica. Ma la frontiera più promettente è certamente quella del calcolo ad alta efficienza. Il calore generato dai server che gestiscono le applicazioni di intelligenza artificiale deve ovviamente essere dissipato. E più della metà della potenza elettrica consumato dai centri di calcolo va nel raffreddamento, non nel calcolo.» E cosa possono fare i Peltier? «Possono operare in maniera intelligente, attivandosi quando e dove le CPU lo richiedono – e solo lì e allora.» Ma l'efficienza? «Non è solo questione di efficienza ma di utilizzo razionale della potenza elettrica dei raffreddatori. E un Peltier può essere acceso e spento in meno di un secondo, cosa che altri sistemi di raffreddamento non possono fare.» Quindi risparmiando energia? «Esattamente. Che è poi un altro modo di ridurre l'impatto delle tecnologie sull'ambiente. Perché, ovviamente, l'energia più verde è quella che non usiamo.»