Una batteria nucleare a scintillazione integrabile in sensoristica complessa per la raccolta di dati sperimentali e il monitoraggio in tempo reale di infrastrutture in ambienti remoti o in aree difficilmente accessibili alla presenza umana: questo il progetto proposto dalla Dott.ssa Francesca Cova, assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienza dei Materiali. Il progetto è risultato tra i vincitori della call IPF – Innovation Project Fund 2021 della Fondazione University for Innovation (U4I), fondata nel 2017 dall’Università di Milano-Bicocca, dall’Università di Bergamo e dall’Università di Pavia per sostenere, supportare e valorizzare idee innovative che abbiano già una solida base di partenza: la call giusta per sviluppare l’idea della Dott.ssa Cova e del team di ricerca e per portarla dallo stadio di ricerca fondamentale alla maturazione tecnologica, con la realizzazione e la convalida di un prototipo, grazie a un forte e consolidato know-how nel campo delle nanotecnologie.
Questa batteria nucleare di nuova generazione è formata dall’accoppiamento di un materiale scintillatore (nanocristalli colloidali di perovskite) con uno fotovoltaico, e sfrutta la luce di scintillazione per convertire l’energia nucleare di un radioisotopo in elettricità.
Intervistiamo la Dott.ssa Francesca Cova, principal investigator del progetto avviato all’inizio del 2022.
Che cosa è una batteria nucleare?
Una batteria nucleare è un dispositivo che permette di produrre corrente elettrica a partire dall’energia nucleare. Funziona come una cella solare, ma al posto del sole mettiamo una sorgente radioattiva a bassa intensità; il tutto è ovviamente schermato e progettato in modo da poter essere maneggiato in tutta tranquillità dall’utilizzatore e non rappresentare alcun rischio per l’ambiente circostante. Le sorgenti radioattive continuano a produrre energia per centinaia di anni: se siamo in grado di convertirla e sfruttarla, possiamo ottenere delle fonti di energia stabili e sostanzialmente permanenti, con un ciclo di vita più duraturo del dispositivo che dobbiamo alimentare.
Cosa sono i materiali scintillatori e perché è vantaggioso accoppiarli con materiali fotovoltaici?
I materiali scintillatori sono materiali in grado di convertire radiazioni ionizzanti molto energetiche, come i raggi X, in luce visibile che può essere quindi facilmente “vista” dai rivelatori comunemente utilizzati. Abbiamo pensato di accoppiarli a materiali fotovoltaici, che invece convertono la luce in energia elettrica, in modo da convertire l’energia nucleare emessa dalla sorgente radioattiva della batteria in corrente elettrica con un meccanismo a due passaggi, detto a “conversione indiretta”: energia nucleare -> luce -> energia elettrica.
Questo introduce parecchi vantaggi rispetto all’accoppiare il materiale fotovoltaico direttamente con la sorgente radioattiva: innanzitutto lo protegge dalle radiazioni ionizzanti che sono dannose per la maggior parte dei materiali fotovoltaici, ma che invece vengono bene assorbite e non rovinano i materiali scintillatori. In secondo luogo, pur introducendo un passaggio, riusciamo a massimizzare l’efficienza di entrambi i processi, agendo solo sulle caratteristiche dei materiali, perfettamente regolabili e controllabili dalla nostra sintesi. Infatti, i materiali che vogliamo utilizzare per la realizzazione della batteria nucleare sono nanoscintillatori facilmente processabili in forma di film sottile dal design estremamente flessibile: questo significa che possiamo realizzarli con le proprietà ottiche e la geometria che vogliamo e che meglio si adattano allo specifico campo di applicazione.
Quali sono le possibili applicazioni delle batterie nucleari?
La batteria nucleare può essere utilizzata al posto delle convenzionali batterie elettrochimiche nei casi in cui è più conveniente farlo: chiaramente non conviene sostituire la batteria del nostro cellulare con una batteria nucleare, perché non sarebbe più economico e non ne trarremmo alcun vantaggio. Invece per tutte quelle infrastrutture ad alto valore economico che utilizzano sensori che devono funzionare in ambienti particolarmente ostili o inaccessibili all’uomo, sostituire una batteria convenzionale con una nucleare che garantisca l’operatività del dispositivo in modo stabile e per tempi lunghi, in ogni caso maggiori della durata dell’infrastruttura stessa, introdurrebbe un enorme risparmio di tempi e risorse. Stiamo parlando per esempio di dispositivi per il monitoraggio in tempo reale e la raccolta di dati sperimentali nelle profondità marine, nel sottosuolo profondo, nello spazio extrasolare, o in zone ad elevato rischio radioattivo, come le aree colpite dal disastro di Fukushima. In particolare pensiamo che la batteria nucleare possa trovare ampio margine di applicazione nel monitoraggio dei sistemi di cablaggio sottomarino ad alta tensione che trasportano l’energia eolica prodotta offshore e che sono parte integrante delle reti energetiche di tutto il mondo: l’alimentazione persistente di un sensore che monitora lo stato del cavo permette infatti di prevenire o intervenire tempestivamente in caso di guasto, minimizzando il tempo di interruzione del trasporto energetico.
Chi è Francesca Cova
Assegnista di ricerca del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca dal 2020, si è laureata nel corso di laurea magistrale in Fisica nel 2016 (titolo della tesi: “Study of radiation-induced Defects in Rare-Earth doped silica Preforms and Optical Fibers for High Energy Physics Detectors”) e ha conseguito il Dottorato in Scienza e Nanotecnologia dei Materiali nel 2020 (titolo della tesi "Rare-Earth doped scintillating silica fibers for Ionizing radiation detection").