Il materiale che respira a comando grazie a un interruttore molecolare

I risultati della ricerca pubblicati su Nature Chemistry
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Struttura del materiale poroso con l'interruttore molecolare

Inspira ed espira a comando azionando un interruttore. È il materiale poroso che respira catturando e rilasciando anidride carbonica solo quando riceve uno stimolo luminoso a una specifica lunghezza d’onda progettato grazie alla collaborazione dei gruppi di ricerca guidati dal Premio Nobel Ben Feringa, e dal Prof. Sander Wezenberg dell’Università di Groningen e dalla Prof.ssa  Angiolina Comotti, professore ordinario di Chimica Industriale del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università degli Studi di Milano - Bicocca. I risultati della ricerca “Modulation of porosity in a solid material enabled by bulk photoisomerization of an overcrowded alkene” (doi:10.1038/s41557-020-0493-5) sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Nature Chemistry.

I comuni materiali presentano molteplici proprietà e funzioni che, generalmente, possono variare con la temperatura o pressione. La vera sfida per i ricercatori è progettare materiali che siano in grado di rispondere ad uno stimolo per eseguire un’azione attraverso l’inserimento di un interruttore su scala nanometrica sensibile ad uno specifico comando. L’interruttore molecolare, ovvero molecole che possono ricevere uno stimolo o un comando e attivare una funzione.

Ispirandosi ai sistemi biologici in grado di sviluppare processi dinamici, numerosi gruppi di ricerca hanno sviluppato in questi anni diverse machine e interruttori molecolari artificiali in soluzione capaci di compiere determinate funzioni. Il moto termico isotropo però preclude qualsiasi forma di azione collettiva ed ottenimento di un lavoro macroscopico. Al contrario, l’organizzazione di macchine ed interruttori molecolari allo stato solido sono in grado di trasformare cambiamenti nanoscopici stimolati dalla luce o dal calore in lavoro di utilità pratica. Pertanto, la sfida attuale consiste nell’organizzazione di macchine ed interruttori molecolari che siano in grado di compiere moti rotatori o di commutazione (switching) selezionati e non randomizzati.

Sfida raccolta e vinta dai gruppi di ricerca dell’Università di Groningen e dell’Università di Milano - Bicocca che hanno sfruttato i materiali dotati di elevata porosità grazie alla quale possono incorporare gli interruttori molecolari fornendo il volume libero essenziale per moti dinamici e si comportano come armature per le componenti molecolari flessibili: si tratta quindi di un’impalcatura leggera e porosa che non impedisce il moto dell’interruttore molecolare controllato dalla luce/calore. La cattura di CO2 viene pertanto modulato dalla luce e/o calore a causa della quantitativa fotoisomerizzazione dell’interruttore molecolare.

Questi nuovi materiali prototipali portano alla generazione di proprietà macroscopiche come per esempio la regolazione della quantità di CO2 assorbita gestita da stimoli esterni. Questa scoperta apre anche nuove opportunità nel settore delle tecnologie di separazione di molecole chirali in presenza di un interruttore molecolare che gestisca la dimensione dei pori.

L’importanza di questa ricerca è stata evidenziata anche dalla rivista Nature Chemistry stessa dedicandole una sezione della rubrica News&Views intitolata “Photoswitching to the core”.

Perché la funzione di cattura di anidride carbonica a comando è così importante?

L’assorbimento dell’anidride carbonica molto dannosa all’ambiente umano e generata purtroppo dalle attività industriali e dei trasporti è una funzione di grande attualità – spiega Angiolina Comotti. – Il problema è che la CO2 non deve essere solo catturata, ma deve essere rilasciata a comando per essere riutilizzata e/o trasformata in prodotti di più alto valore aggiunto. Il processo di rilascio della CO2 è importante, altrimenti i materiali assorbenti si saturerebbero e non lavorerebbero ulteriormente.

Il materiale progettato grazie a questa ricerca ‘respira’ a comando, cioè inspira assorbendo CO2 ed espira rilasciandola attraverso stimoli luminosi a specifiche lunghezze d’onda. In questo modo il materiale si gonfia di CO2 subito dopo aver ricevuto l’ordine specifico e poi si “strizza” ad un secondo stimolo specifico, come i polmoni dietro la pressione del torace.

Come avete progettato e realizzato il materiale poroso in modo che includesse anche l’interruttore molecolare?

Abbiamo dato prioritariamente attenzione alla stabilità dell’insieme che garantisse molti cicli di respirazione. Quindi abbiamo privilegiato i legami più stabili alla temperatura e umidità (i legami covalenti): per utilizzare questi abbiamo dovuto ricorrere a reazioni efficaci che formassero una rete tridimensionale porosa e rigonfiabile come una spugna capace di assorbire CO2. Tuttavia, questa reazione di formazione della rete deve includere anche l’elemento che obbedisce agli ordini e trasmette la modificazione indotta all’intero materiale, l’interruttore vero e proprio, che è naturalmente un “organo” delicato. Questo processo chimico di assemblaggio della rete tridimensionale però non distrugge l’elemento molecolare attivo.

Il progetto supporta una sfida attualmente molto attiva nel settore della chimica dei materiali, quella di produrre solidi con proprietà attive o modulabili a comando, in modo che ad uno stimolo segue un comportamento utile.

Perché l’interruttore sia efficiente la reversibilità della trasformazione è un fattore cruciale. Quale risultato avete ottenuto?

La trasformazione dell’interruttore nei due stati ottenuta mediante l’irraggiamento alle frequenze ultraviolette opportune è reversibile al 100% – spiega la Prof.ssa Angiolina Comotti. – Abbiamo ricavato i valori rilevanti di cattura della CO2 dalla misura di assorbimento di CO2 con un opportuno apparato (per isoterme di assorbimento). Abbiamo verificato che il reticolo tridimensionale si riarrangia trainato dallo stato dell’interruttore modulando la quantità di CO2 assorbita.

Un aspetto importante e non comune è rappresentato dal fatto che il processo è massivo ed avviene in un solido – conclude la Prof.ssa Silvia Bracco. – La Risonanza Magnetica Nucleare, che tipicamente si esegue su pazienti, ha permesso di seguire il processo nel solido e dimostrare la quantitativa trasformazione (la fotoisomerizzazione nel caso specifico) dell’interruttore.