
Le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), per cui spesso di usa l’espressione inglese "forever chemicals", sono state ampiamente utilizzate per decenni in molti prodotti e processi, dai vestiti impermeabili agli imballaggi alimentari, dalle schiume antincendio e pentole antiaderenti, grazie alla loro eccezionale capacità di repellere acqua e oli. Tuttavia, queste sostanze chimiche persistono nell'ambiente per secoli e si accumulano nei corpi umani, con crescenti evidenze che le collegano a gravi problemi di salute, tra cui cancro, ritardi nello sviluppo nei bambini e problemi riproduttivi. Questo crea un bisogno urgente per scienziati e ingegneri di sviluppare materiali alternativi, che possano eguagliare le prestazioni dei PFAS in applicazioni critiche come dispositivi medici, tessuti protettivi e sistemi di filtrazione dell'acqua, e che siano sicuri sia per la salute umana che per l'ambiente. La sfida è notevole: serve creare superfici che respingano i liquidi in modo efficace quanto i materiali a base di PFAS, ma senza le caratteristiche di persistenza, bioaccumulo e tossicità, che rendono attualmente i PFAS così problematici.
Nell'articolo "Non-fluorinated superomniphobic surfaces" (DOI: 10.1016/j.pmatsci.2025.101581) pubblicato su Progress in Materials Science (Elsevier, Impact Factor 40, 2024 Journal Impact Factor, Journal Citation Reports (Clarivate Analytics, 2025)), gli autori forniscono una panoramica completa delle recenti strategie prive di PFAS per ottenere la cosiddetta super-omnifobicità (estrema repellenza ad ogni liquido, in particolare acqua e oli). La revisione discute approcci basati sia sulla morfologia che sulla chimica, offrendo una prospettiva chiara sulle sfide attuali e sulle opportunità emergenti per creare superfici superomnifobiche prive di PFAS, sostenibili e ad alte prestazioni.
Il Prof. Carlo Antonini del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell'università degli Studi di Milano-Bicocca, ha condotto lo studio durante il suo anno sabbatico presso il Department of Mechanical & Industrial Engineering, University of Toronto (Canada), in collaborazione con il gruppo di ricerca del prof. Kevin Golovin e un collega che attualmente lavora presso la University of British Columbia.